Hai mai parlato di giovani ai giovani? Un casino
Capiamo come provano a farlo su "Webboh" chiedendo direttamente a loro, per es.
Ciao,
Io sono Vincenzo e questa è zio, la newsletter italiana 🤝
Come già sai qui ci piace parlare di consumi digitali della Gen Z. Può trattarsi di un trend di TikTok che diventa una cosa nel mondo reale, o di una mezza fissa para-motivazionale che sfocia nel machismo tossico. O del mondo interiore di uno youtuber in mega-hype.
Questa volta ci facciamo una chiacchiera con chi questo panorama — fatto di tendenze digitali e nuovi teen idol — lo descrive per i più giovani già da un po’ di tempo.
E mi spiego: qualche settimana fa avevamo parlato del rapporto tra TikTok, guerra in Ucraina e Futuro del Giornalismo® promettendoti un’intervista ai ragazzi di Webboh. Oggi chiudiamo il cerchio.
Reminder: Webboh è una specie di magazine digitale sullo stardom contemporaneo che s’imbatte talvolta nelle hard news, cercando di renderle digeribili ai lettori più giovani.
Ha un suo sito, una nutrita pagina Instagram da un milione di follower, sta cercando la sua strada su TikTok, e si fa rappresentare da una specie di ragazza-memoji — Miss Webboh — che parla a nome della redazione.
Nei giorni scorsi ho sentito uno dei fondatori, Giulio Pasqui, per chiedergli come vanno le cose dalle parti di quello che forse è il punto riferimento informativo per chiunque voglia provare ad aggiornarsi su content creator, tendenze social, e in generale su tutto ciò che può interessarti se non vivi sui calanchi e hai meno di — boh — 25 anni.
Ecco qui quello che ci siamo detti. Ci vediamo dopo — che devo pure dirti una cosa.
Io:
Mi racconti com’è nato questo progetto?
Giulio Pasqui:
È nato nel 2019. Era il primo aprile, infatti molti pensavano si trattasse di uno scherzo…
I creator mi hanno sempre incuriosito. In quel periodo cercavamo informazioni su di loro — soprattutto youtuber: Twitch e TikTok erano ancora lontani — e non trovavamo nulla.
Ci siamo accorti che questi personaggi, che erano già delle star per un determinato target, non erano raccontati. O che quando succedeva venivano approcciati con un atteggiamento da boomer, se posso dire: tipo “quanto guadagna lo youtuber”, “è un lavoro o no”…
Mancava una realtà che parlasse di questo mondo, e così insieme ai colleghi Diego Odello e Ivan Buratti abbiamo creato Webboh — inizialmente senza “h”, poi per un problema tecnico ci siamo resi conto che il dominio era già stato preso.
All’inizio era un progetto completamente diverso — abbiamo sperimentato tanto prendendo anche delle cantonate. Poi con la pandemia, che ha fatto esplodere TikTok e Twitch e costretto i ragazzi a stare a casa, c’è stata l’invasione di questi nuovi personaggi: tiktoker, streamer, i nuovi idoli della Generazione Z.
Io:
Ma voi siete giornalisti, no?
GP:
Proveniamo dal mondo editoriale, diciamo. Diego Odello, l’unico giornalista professionista del gruppo, è stato fino al primo maggio scorso il responsabile dell’area intrattenimento di Blogo.
Lo conosco da quando avevo 15 anni: all’epoca avevo un blog, mi ha intercettato e mi ha chiesto di collaborare. Poi ho avuto esperienze anche con Il Fatto Quotidiano e con alcune testate di Mondadori.
TvBlog — uno dei verticali di Blogo di cui eravamo redattori — è stato un po’ il punto d’incontro per tutti e tre.
Io:
E quanti anni avete? Perché di base più che Gen Z siete Millennial, mi sa. No?
GP:
Io ho 29 anni, Ivan 26 e Diego ne ha 42. Però la squadra adesso si è allargata: abbiamo una redazione virtuale composta da 19-20enni appassionati e super in target rispetto a quello che raccontiamo al nostro pubblico di riferimento.
Io:
Quindi quanti siete in totale?
GP:
Una dozzina di redattori, tutti maturandi e universitari.
Io:
Capito. Prima mi dicevi: la scelta del tema è stata decisiva perché avete intuito che c'era questa mancanza nell'offerta editoriale.
Però nel vostro caso, forse, essere diventati un media rilevante per una comunità non è solo frutto dell’averci pensato prima, banalmente, ma anche del modo in cui vi fate interpreti di un certo tipo di comunicazione.
Cioè: il vostro non è un “giornale dei giovani”, ma è una cosa scritta con un certo tipo di linguaggio ben preciso, che piaccia o meno: l’uso contemporaneo della lingua, gli slider su Instagram iper-comprensibili, le memoji, i video da tiktoker...
GP:
In realtà è avvenuto tutto un po’ spontaneamente. Abbiamo un piano editoriale che prevede almeno tre post e 10-15 articoli sul sito, quotidianamente.
Facendolo ogni giorno, sbagliando costantemente, ci siamo resi conto cosa funzionava, qual era il modo giusto di raccontare le notizie — anche perché uno dei nostri punti di forza è il dialogo costante con la community.
I ragazzi stessi ci scrivono in privato chiedendoci di raccontare un qualcosa: noi rispondiamo dal primo all’ultimo DM su Instagram, e questo ci permette di capire qual è il trend del momento, quali sono gli interessi — sono contenuti che definiamo bottom-up, perché partono dal basso e c’è sempre un dialogo costante.
Mi ricordo del caso della guerra. Eravamo in dubbio se raccontare una cosa del genere, che è molto distante dal nostro mondo che vuole essere leggero ma non superficiale.
Notavamo però che ci veniva chiesto uno sforzo dalla community, perché i lettori ci dicevano di non aver trovato una realtà in grado di raccontare in maniera semplice cosa stesse succedendo.
Alla fine, con il dovuto rispetto, abbiamo affrontato un argomento distante da noi rendendolo uno dei post più apprezzati dell’ultimo periodo. Cerchiamo sempre di proporre il modello giornalistico, che è la nostra formazione, interpretando le segnalazioni della community.
Io:
Infatti mi chiedevo quali fossero le vostre fonti, specie per notizie tipo gli screzi tra creator, ma tu mi dici che in larga parte è la community stessa…
GP:
Sì, direi che l’ottanta percento delle cose che pubblichiamo viene dalla community: quando c’è una notizia forte riceviamo anche un migliaio di messaggi in cui ci viene chiesto di approfondire qualcosa.
Poi c’è anche tutto un lavoro di ricerca, chiaramente: se parliamo di TikTok, lo scroll dei “Per te” è quello che ci fa nascere la curiosità, ci fa approfondire un tema, ci fa capire che tipo di news possono interessare… Passiamo molto tempo sui social per capire cosa sta succedendo intorno a noi.
Io:
Ok ma facciamo un esempio: se ci sono due notizie forti, magari affini, che vi vengono segnalate con lo stesso impeto, come fate a scegliere qual è quella “giusta” da pubblicare?
Nel senso, come funziona il vostro filtro editoriale? È solo una questione quantitativa o fate anche una scelta?
GP:
No no, chiaramente facciamo molte scelte e poniamo un filtro alle notizie che ci vengono inviate in DM, anche perché ci viene segnalato di tutto: da cose improponibili a messaggi sbagliati.
Poi visto che parliamo a un pubblico molto giovane ci poniamo molti scrupoli: cerchiamo sempre di adattare il mood in cui trattiamo la notizia in base alla notizia stessa, siamo sempre promotori di messaggi come inclusività, body positivity, lotta a razzismo, bullismo, omofobia — perché le sentiamo nostre, non perché vogliamo seguire dei trend.
Abbiamo anche capito di avere una certa influenza sulle persone che ci leggono, quindi non ce la sentiamo di far passare dei messaggi sbagliati.
Io:
Mi hai citato prima il caso della guerra in Ucraina: era effettivamente un trending topic su TikTok, e forse è stata la prima volta che un tema di questo genere è entrato nello scroll dei “Per te” — anche a modo suo, chiaramente: mi viene in mente la ragazza ucraina che raccontava com’è vivere sotto le bombe, in stile TikTok.
In casi come questo vi capita di raccontare hard news. Penso anche — che so — al Covid, o ai post sul Ramadan, che avete provato a spiegare per contestualizzare l’esistenza dei relativi sticker di Instagram.
Quello che voglio dire è: voi come vi approcciate solitamente alle notizie “classiche”? E secondo te come si possono raccontare questi mondi alle nuove generazioni?
GP:
Noi l’abbiamo sempre fatto perché ci veniva richiesto dagli utenti: abbiamo raccontato la guerra, ma anche cosa stava succedendo in Afghanistan. E anche lì, lo abbiamo fatto perché stava diventando un trend su TikTok, e quindi tanti ragazzi — vedendo questi video — non capivano cosa stesse succedendo.
Molti ci scrivevano preoccupati dicendoci “Ti prego Webboh puoi spiegarmi cosa succede? Non ci dormo la notte”. Sono giovanissimi: non guardano il tg, non leggono il Corriere… E specie con la questione Ucraina, vedevano magari questi video coi carri armati e le bombe, e venivano a chiedere a noi cosa stesse succedendo.
Per quanto riguarda il quadro generale, vedendo anche realtà come Factanza, Will, Torcha, secondo me lo spazio per raccontare l’attualità c’è.
Magari questi media si rivolgono a un target un po’ più grande, con un linguaggio più approfondito, ma notiamo un grande interesse dei ragazzi sull’attualità — quasi la pretendono. C’è grande voglia di conoscere cosa succede attorno a loro, ma poche realtà lo fanno davvero.
Io:
Su Instagram avete superato il milione di follower. Lì il vostro “piano editoriale” è chiaro: slider in cui la prima pagina racconta con una foto, un semplice testo di spiega e una memoji, qual è la notizia da conoscere — un gossip tra influencer, l’assedio di Mariupol, Khaby che supera Charlie D’Amelio.
Su TikTok, invece, come sta andando? Ho visto che avete lanciato il format delle news con il “reporter” che spiega le cose in camera — chiamiamolo così.
GP:
Su TikTok arriviamo in imperdonabile ritardo, ma in un momento in cui i tempi forse sono più maturi.
Avevamo 300mila follower senza aver sviluppato un vero e proprio piano, fino a qualche settimana fa. Adesso abbiamo lanciato questo format e individuato dei volti — Arianna, Claudia e Chris — che fanno parte da mesi della nostra realtà, e che hanno esperienze nel mondo dei video. Abbiamo raccolto più di centomila follower in un mese circa.
Ora su TikTok agiamo come aggregatore di notizie, raccontate giornalmente da questi ragazzi. Vabeh poi c’è Miss Webboh che è un po’ il nostro volto ufficiale: un memoji che interviene nelle occasioni più importanti, e che sarà il quarto “creator” del profilo.
Io:
Quindi un avatar che fa da “presentatore” in video…
GP:
Esatto, Miss Webboh per noi è una vera e propria persona dall’identità segreta.
Nessuno sa chi ci sia dietro, ma ha una voce e delle caratteristiche molto precise che rispecchiano un po’ quelle della nostra community: l’apparecchio, le lentiggini, i capelli bicolore.
Ha debuttato nel dicembre di due anni fa perché come ogni anno stavamo facendo questi awards del web, in cui la community premia i creator più meritevoli, così ci siamo inventati un format in diretta Instagram condotto proprio da Miss Webboh.
E quindi per 15 minuti abbiamo avuto Miss Webboh, un memoji doppiato da una voce femminile, che ha condotto uno show in cui c’erano dei personaggi del mondo dello spettacolo del calibro di Mara Venier e Enzo Miccio.
È piaciuta molto sin da subito e da lì è diventata un po’ il nostro volto, che interviene e parla nelle occasioni più importanti, la voce dei fondatori.
Io:
Secondo te Miss Webboh è il Gabibbo della Gen Z?
GP:
Più o meno… Insomma… Non è che mi faccia impazzire come parallelo [ride].
Io:
Allora ti faccio un altro paio di domande serie. Prima: il rapporto con le attività online e le fest, dato che ne organizzate varie e non capisco mai cosa siano.
Com’è nata questa cosa? Quanto è importante per il vostro progetto in generale e il vostro business?
GP:
L’idea è nata la scorsa estate. Avevamo voglia di fare un evento fisico per testare Webboh fuori dal web, e sentivamo l'esigenza della community di partecipare ad eventi dal vivo dopo lo stop forzato causa pandemia.
Abbiamo lanciato questo evento a Mirandola, a settembre, ed è stato clamoroso: abbiamo fatto sold out per i posti in arena — quasi mille — in 48 ore, e fuori dalla struttura c’era forse più del doppio delle persone. Neanche noi ce lo aspettavamo.
L’abbiamo trasmesso in diretta per quasi due ore, raggiungendo ottomila spettatori contemporanei. È stato un grande successo che poi ci ha spinto a farlo diventare un tour: da lì è diventato Marlù Webboh Fest, col quale abbiamo toccato a Milano, Roma, Bologna, Firenze.
L’idea è quella di farlo diventare una specie di FestivalBar della Generazione Z — passami il termine di paragone. Un festival in cui gli idoli della Gen Z fanno uno spettacolo: i cantanti fanno le loro hit, i creator si sottopongono a delle challenge…
Io:
Passo a una questione più di “piattaforma”, che sembra un po’ specialistica ma ha un senso più ampio: come viene abitato il vostro sito? Quanto viene usato? Cosa rappresenta per voi? È una vetrina? È un approdo seo-oriented? Ha senso averne uno nel 2022?
GP:
Il sito per noi è dove tutto viene approfondito: una notizia prima di finire su Instagram passa sempre da lì, nel 95 percento dei casi.
Sicuramente è molto difficile portare una generazione come questa a leggere cose da un sito: anzitutto perché secondo noi non ne comprendono il concetto, e sono poco abituati ad aprire una landing page.
Sono più abituati, però, ad avere in mano un social, e per noi quella è la grande sfida: portare un pubblico come questo ogni giorno su un sito. Per ora siamo contenti, a maggio abbiamo fatto il record di 8 milioni di pagine viste, e la cosa ci fa capire che una strada c’è.
Chiaramente poi ci piace il concetto stesso di sito anche perché veniamo dal mondo editoriale, tanto che adesso abbiamo una redazione che se ne occupa giornalmente e in modo autonomo.
Io:
Ultimo punto, facile ma anche difficile: che obiettivo vi date per il futuro?
GP:
In che senso?
Io:
Qualsiasi.
GP:
Webboh è una società dal 2020. Il nostro obiettivo è quello di diventare sempre più azienda: abbiamo una redazione, un team commerciale, pian piano anche una parte creativa. Ci piacerebbe diventare il punto di riferimento per la Generazione Z e per la Alpha, che è quella che verrà.
Ci piacerebbe consolidarci anche nel mainstream: da qui le varie attività che facciamo, per non rimanere ancorati a Instagram. In questi mesi abbiamo ricevuto qualsiasi tipo di proposta a livello di acquisizione, alcune sono in fase di valutazione, altre non ci interessano.
Siamo ben consapevoli di quello che siamo oggi, ma anche di quello che vogliamo diventare: molti dei progetti che vediamo sui social spesso sono dei fuochi di paglia, la nostra sfida è quella di non perdere il focus sul target, capire sempre quali sono i trend, essere pronti ai cambiamenti che i social ci presenteranno in futuro.
Io:
Cosa ci dobbiamo inventare per la Generazione Alpha?
GP:
Non so, te lo farò sapere quando lo scopriamo.
E niente, intervista finita. Cosa ne pensi tu? Vieni a dirmelo su Instagram, su Twitter, o rispondendo a questa mail.
⚠️☺️⚠️ Cosa impo da dire: “zio” se ne va in vacanza per qualche settimana: devo occuparmi di una cosa che però forse ti farà piacere, quindi spero che potrai perdonarmi ⚠️☺️⚠️
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Ciao, a prestone