Andiamo
Non avevamo ancora parlato di meme e di come influenzano la nostra realtà: facciamolo subito 🚁
Ciao,
Io sono Vincenzo e questa è zio, la newsletter per casi d’anzianità latente.
Come stai? Com’è cominciato questo 2022? Io tutto regolare. Qualche giorno fa avevo provato a fare un riassuntone ragionato del 2021 di questa newsletter. Adesso siamo pronti per lasciarci il passato alle spalle.
Forse. O forse no: durante le feste avevo cominciato a scrivere di meme partendo da un paio di casi. Il problema però è che oggi apparirebbero forse un po’ “morenti” e privi dello stesso rilievo, quindi proverò a inserirli in un discorso un po’ più ampio senza farti mancare le solite menate su Internet, giovani ecc. Fermami quando vuoi 🎡
Giostre di content
Eccoti. Mi spiego meglio: volevo parlarti di questo video casuale che in modo altrettanto casuale, tra novembre e dicembre, ha cominciato a diventare una “citazione” — ultimo esemplare di viralità nel solito instancabile mercatone dei contenuti online.
Però voglio dire, alla fine non abbiamo mai parlato di meme in senso stretto. Un po’ perché di autori e servizi che li “spiegano” è piena la rete (e zio non vuole essere quella cosa). E un po’ perché abbiamo sempre avuto roba altrettanto gustosa di cui discutere insieme. Quindi proviamo a farlo oggi, ma partiamo da un premessone.
Visto che segui questa newsletter voglio dare per scontato che tu sappia cosa intendo con “meme”. Facciamo comunque un ripasso veloce, e incolliamo un paio di quote di cultura.
La prima — molto stilosa — l’ho presa da Encyclopædia Britannica, che li definisce come “unità di informazioni culturali diffuse per imitazione”. La seconda te la copio da Collins, che più prosaicamente parla di “video, foto o frasi che un numero molto alto di persone si scambiano su Internet”, spesso con un connotato ironico.
Da qui, colpo di scena, torniamo alla materia calda: conoscevi questo video che ti dicevo? Se sì: prova a chiederti dove l’hai visto — secondo me non te lo ricordi. Se no, sei in ritardo: è già un “meme morto”, ma hai bisogno di sapere perché.
Abbiamo un bambino che gioca a fare il giostraio insieme a un adulto. Con tono professionale eppure timidello, sospira nel microfono la frase “Ok, let’s go!”, come per accompagnare la rotazione della giostra e gasare chi ci sta sopra.
A chiosare, poetico, lo sguardo perso nel vuoto dei due mentre in sottofondo sentiamo la leggendaria linea melodica di “Animal” di Martin Garrix, il più lunaparkesco dei brani in stile Tagadà. Tutto è perfettamente nel posto sbagliato.
La clip circola in rete da diversi anni, ma è tratta da un servizio del 2009 di uno show della tv belga (“Man bijt hond”) in cui fanno incontrare ‘sto ragazzino infottato con le giostre e un signore con la fissa per il Turbo Polyp (una specie di Crazy Dance).
Entrambi raccontano la loro insolita, legittimissima ossessione: poster, miniature, video di parchi tematici, apparecchiatura varia e un microfono per simulare l’esperienza da vocalist per giostre. Il più piccolo prende il microfono in mano, recita la sua omelia monocorde, e un decennio più tardi diventa immortale sotto forma di meme.
La vicenda di come questo vecchio video sia stato rieditato e poi diventato virale è quasi impossibile da ricostruire, ma dice molto dello scenario della “cultura digitale” in cui ci troviamo — oltre ad essere in parte anche il tema di questo episodio di zio: non c’è una storia, non c’è una traiettoria coerente da tracciare e analizzare.
Sappiamo però che in questo caso — come per molti altri in tempi recenti — pur essendo un video nato su YouTube, il grosso della sua viralità l’avrebbe accumulata su TikTok: una piattaforma molto diversa dalle altre, e che in qualche modo rende ancora più difficile riscrivere la genesi dei fenomeni che ospita per una serie di motivi. Ne metto qui tre in elenco puntato:
Il suo algoritmo, che in tanti ritengono essere diverso da quello delle altre piattaforme digitali, e capace di aderire in modo molto (più) sofisticato ai comportamenti dei suoi utenti;
Conseguenza: il fatto che la priorità, una volta aperta la app, finora non sia stata data ai contenuti dei creator che l’utente decide di seguire, ma a una più generica tab “Per te” che suggerisce in autonomia cosa ti piacerebbe vedere a prescindere dalle tue “affiliazioni”;
La tendenza tipica delle community di TikTok alla “contaminazione” dei contenuti e al loro riutilizzo: a ogni video si può replicare con un duetto, o aggiungendo altri elementi, o sfruttandone l’audio, dando così alla clip originale nuova vita e nuovi significati (eccoti un altro esempio).
Capisci bene che è come prendere una pizza e cercare di dividere la farina dagli altri ingredienti. O come separare il rosso dall’albume in una frittata già cotta. Fine similitudini culinarie.
Questa cosa sta succedendo sempre più spesso, è il punto. Un po’ perché TikTok è ormai, conclamatamente, il social network di riferimento per una generazione intera — e anche oltre: a dicembre ha superato Google in termini di accessi.
E un po’, appunto, perché il pubblico dei meme è per sua natura giovane, e dunque questi circolano dove effettivamente vivono i regaz — per poi uscire fuori da lì, arrivare a noi PeRsOnE MaTuRe, e vivere altre mille vite su altre mille piattaforme.
Io, 1998 circa.
Qualche settimana fa Ryan Broderick sulla newsletter Garbage Day parlava di TikTok come del “nuovo CMS di Internet”: cioè il sistema, la plancia dove le cose “si fanno”, i contenuti si assemblano, gli screenshot si accumulano e i video vengono scaricati per esser poi condivisi — lì dentro ma anche altrove: se ci pensi, quanti post nati originariamente da TikTok ti capita di vedere di recente su Instagram? A me un botto.
Ecco: che differenza c’è, diceva, tra foto come questa che circolano su Twitter (ma prodotte con font e stile tipico di TikTok) e quelle di una volta coi “gatti e le scritte in alto e in basso” (ossia quelle qualche anno fa consideravamo essere la perfetta definizione di “meme”)?
Lo stile? L’ironia? L’età di chi le ha fatte? Sono la stessa cosa? O sono la stessa cosa ma in momenti diversi — e con centinaia di milioni di telefoni connessi in più? Probabilissimo.
Tornando al video: a essere super sinceri non c’è molto altro da dire, se non che — appunto — è paradigmatico di quanto scritto finora. Lo si è usato per settimane come per dire “Pronti!” (in modo ironico e non), e poi è volato via da TikTok fino ad arrivare a tavola durante il mio pranzo di Natale, in bocca a mio cugino di dieci anni, che continuava a ripetermelo nell’orecchio aggiungendo tra risate inconsolabili che non aveva senso.
Prossimo contributor di zio.
Elicottero di content
Ti faccio un altro esempio di meme che potresti non aver visto. Anche questo è partito da TikTok. Eccolo qua:
Questo è “Helikopter Helikopter”. È stato prima un’innocente canzone bosniaca. Poi un audio circolato su TikTok. Quindi un balletto, una coreografia, uno stile di montaggio. Si è arricchito di “livelli” (layer, nel gergo memetico), e infine è diventato ironico, meta-ironico, meta-meta-ironico, uscendo da lì per poi fare i suoi giri immensi.
La canzone originale, dicevamo, è opera dell’artista bosniaco Fazlija. È stata caricata su YouTube nel 2015, con la sua melodia conturbante e gli effetti di eliche che girano, ed è diventata popolare nel resto del mondo a fine 2021 — Fazlija se n’è poi accorto, ha caricato un nuovo video qualche settimana fa (che ad oggi ha accumulato 7 milioni di views, l’originale è arrivato a 19) e ha salutato tutto l’Internet con un certo orgoglio per la fama inaspettata. Ciao anche da noi.
Come nel caso di “Ok let’s go”, anche qui ritroviamo un paio di temi ricorrenti: il fatto che la tendenza sia nata da TikTok senza particolari meriti o spiegazioni; che poi da lì abbia continuato a propagarsi senza che avesse effettivamente un senso, cambiando continuamente forma e colore forma e colore forma e colore; e che infine sia uscita da quella piattaforma e abbia trovato nuova vita in altri lidi (nel mondo delle streaming, nel mondo del gaming, per esempio) fino a influenzare esistenza e carriera di un ignaro qualcun altro.
Stessa storia col meme qui sopra, per farti un altro esempio. Circolava uno o due mesi fa, l’hai visto sicuramente, ma si trattava di una striscia del 2014 disegnata da un fumettista brasiliano (anche lui vita stravolta per qualche settimana dalla fama casuale, anche lui qui molto gentile a salutarci tutti).
È il cosiddetto “Bus meme”. Non esprime altro che il senso di una doppia scelta: quella sfortunata a sinistra, quella fortunata a destra. Per un certo lasso di tempo è stato il modo ironico più ok per veicolare questo concetto basilare (“opzione buona” vs “opzione cattiva”), ed è andato a sostituire per qualche settimana gli stessi modelli di meme già in circolazione — tipo quello con Drake, o quello con l’auto che esce dall’autostrada.
Ovviamente è storia diversa rispetto agli altri due, non essendo un contenuto da “puri nativi TikTok”: qui il senso è immaginarsi la situazione “a scelta doppia” che parli a più persone possibili, trovare il minimo comune denominatore per una risata di gruppo, rendendo il meme più intellegibile, relatable, e quindi condivisibile — come spiegava bene Helen Lewis su The Atlantic.
Il tema però è che, con frequenza sempre maggiore, contenuti casuali con messaggi modulabili mettono inopinatamente la sesta da qualche parte sull’Internet, diventando “la cosa” del momento per esprimere altre mille “cose” (pensa alla storia del meme di “Pepe the frog”, per esempio).
E tutto questo semplicemente perché “qualcuno è stato abbastanza sveglio da farla diventare rilevante dal nulla,” scriveva Justin Kirkland su Esquire. Senza che nessuno lo cercasse davvero, o che il vero protagonista del contenuto — magari — lo volesse.
Qui sopra trovi la breve storia di Andras Arato, volto inconsapevole di milioni di meme, che ha dovuto imparare a condividere la sua faccia col resto del mondo.
Il caso di Sabrina Prater
Momento storia pesa. È lo scorso novembre e Sabrina Prater, dal Michigan, pubblica su TikTok un video in cui se ne sta in cantina e balla “Any Man of Mine” di Shania Twain. La clip supererà qualche settimana dopo i venti milioni di visualizzazioni, diventando virale soprattutto grazie alla sua ripubblicazione su un subreddit da un milione e mezzo di iscritti, r/oddlyterrifying.
Imbeccati da uno di questi — il cui profilo è stato poi eliminato — nella community comincerà a circolare l’infondato, infamante sospetto che nei video di Prater, su uno schermo, ci fossero i volti di persone da lei segregate, seviziate e uccise. Che fosse una serial killer. Che portasse addosso i vestiti delle sue vittime.
Già da qualche settimana, su TikTok, la grottesca “moda” delle indagini fai da te aveva cominciato a diffondersi. A farla esplodere era stato principalmente questo video in cui una ragazza piombava a casa del suo fidanzato senza preavviso dopo una lunga assenza, sorprendendolo però insieme ad altre due ragazze — e stimolando la malizia e il sospetto di molti.
La clip, in qualche modo, divenne un caso (la cosiddetta “Couch Saga”): gli utenti presero poi a cercare elementi del linguaggio del corpo che alludessero a un presunto tradimento, e il post cominciò a riempirsi di accuse, teorie, insulti. Ad oggi i commenti sono più 130mila.
“Verissimo” digitally meeting “Un giorno in pretura”
In questo contesto, il video di Prater (che di recente ha fatto coming out come donna) comincia a circolare più velocemente: il suo profilo viene ingolfato da commenti e speculazioni — con tanto di inviti a localizzarla e ad andare a controllarle casa — fino a farla finire al centro di una violentissima, gratuita teoria del complotto. Un meme, ma senza le risate. Una fake news, ma su una piattaforma per giovani.
La storia è stata analizzata da Rolling Stone e in particolare dalla tiktoker e ricercatrice Abbie Richards, secondo la quale — tengo la citazione in inglese:
“It was like watching true crime, internet sleuthing, conspiracy theories, and transphobia collide in a horrific car crash”.
E non è difficile capire come ci si sia arrivati, considerando quanto ci siamo detti finora: intanto, continua Richards, “TikTok spesso promuove video sensazionalistici, e che ottengono maggior engagement, senza badare effettivamente al contenuto stesso”.
Per questo, continua, clip del genere possono finire più facilmente nei “Per te” senza che tu abbia esplicitamente cercato quel dato profilo o contenuto. Così, proprio perché i video ad alto tasso di engagement vengono solitamente premiati, i creator si sentirebbero in qualche modo stimolati a produrre contenuti su cose già “di moda”, creando trend e meme innocenti, ma a volte anche “la ricetta perfetta per il disastro” — chiude Abbie Richards.
Poi, capiamoci: non si può certo pensare di parlare di come alcuni utenti usano piattaforme come TikTok senza fare un passaggio sui media di massa e il loro linguaggio, con la tendenza alla “feticizzazione della cronaca nera” — aggiungeva alla NBC Brooke Erin Duffy, associate professor della Cornell University — e la già citata transfobia, “una strada tracciata per anni dai media, col loro modo di ritrarre le persone trans”, come spiegava il Senior Strategist e LGBTQ program director di Media Matters for America, Brennan Suen.
È chiaramente uno spaccato molto più ampio e irrisolto, percorso da una linea che abbiamo appena cominciato a disegnare. Unica cosa sicura, la riprendo da Esquire: “C’è gente che pensa ‘Ah sì, sono le cose che fanno i ragazzini su Internet’”, scriveva Kirkland parlando di meme e viralità. “Eppure è difficile trovare ad oggi un modo migliore per tenere insieme cultura pop, politica, gossip”.
Ma anche, aggiungo io, per cercare di capire dove saremo tra un paio di giorni, o tra un paio di mesi. Dici troppo? Risp alla mail, fammi sapere cosa ne pensi, mi piace essere contraddetto 👉
Noi ci vediamo molto presto, ma se ti manco puoi beccarmi su Instagram, su Twitter, su LinkedIn, o leggendo qui tutti gli altri episodi. Qui sotto invece puoi farmi un’offerta volontaria di due euro a piacere capo:
Solita ultima cosa: controlla le cartelle “spam” e “promozioni” della tua mail, la prossima volta: a volte zio finisce lì. Un buon metodo per evitarlo pare sia aggiungere il mio indirizzo ai contatti, dicono, non lo so, non ho provato.
Ciaoo.