Perché mi hanno ruttato in faccia?
No davvero. Oggi, comunque, parliamo di ruttoni e bestemmie.
Ciao,
Io sono Vincenzo e questa è zio, la newsletter testuale.
Come stai? Che mi dici? Io benone: continuo a raccontare di “Sei vecchio” — il libro che nasce da questa newsletter — in giro per l’Italia, e prossimamente ci possiamo beccare il 9 giugno a Venezia (su prenotazione: scrivimi se vuoi venire!) e il 15 al We Make Future di Rimini (due volte: alle 13 e alle 18.20). Mi farebbe piacere 🍅
Per il resto, tutto uguale. Sta arrivando l’estate, la mia giacca primaverile è rimasta nell’armadio per un altro anno, e sabato scorso qualcuno mi ha ruttato in faccia.
Cerchiamo di capirne di più.
Bestemmioni in prime time
Lo scorso mercoledì a Budapest si è disputata Roma-Siviglia, finale di Europa League — preceduta, l’11 e il 18 maggio, dal confronto tra la squadra della capitale e i tedeschi del Bayer Leverkusen.
Si tratta della seconda maggiore competizione continentale: lontana dal fascino delle grandi notti di Champions League, è da molti considerato un torneo subalterno, meno rilevante, talvolta addirittura un peso per chi vi partecipa. Una magra ricompensa per non esser riusciti a salire su palchi più prestigiosi.
È per questo che all’interno di alcune community online i simboli, l’estetica e persino l’inno ufficiale dell’Europa League sono diventati una specie di metafora per definire il non avercela fatta al cento percento, l’essere arrivati tardi, una mezza sciagura su cui ironizzare. Una competizione-meme alla quale, a partecipare, sono spesso squadre e tifosi dai sogni infranti.
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Con questo spirito goliardico e tendenzialmente disincantato, i tifosi italiani che in questa stagione hanno seguito le prestazioni delle proprie squadre del cuore in Europa League sono stati numerosi. In particolar modo per il fatto che ad arrivare fino in fondo, stavolta, sono state due tra le società più seguite e amate: Juventus e Roma.
Sono tifoserie che si distinguono per una certa passione, com’è noto, ma anche per un’effervescente produzione di contenuti online diventati spesso iconici: video commenti, meme, reaction a partite, dirette streaming che suonano come vecchie stazioni radio con tanto di telefonate dei tifosi da casa.
Tra i romanisti, in particolare, spiccano diversi personaggi: alcuni dalle velleità professionali, altri più pittoreschi. C’è Massimino Visconti e il suo “Daje Roma daje, yahoo”, per esempio. Lo youtuber Sickwolf, che con i suoi post-partita viaggia ormai verso le 350 milioni di visualizzazioni. Marco Violi, animatore di romagiallorossa.it e noto anche per le sue performance canore — che qualche tempo fa avevano provocato l’amarissima “maratona #Violination”, se ti ricordi: ne parlarono tutti i giornali.
È partendo da questo circuito — e forse proprio da un vecchio video di quest’ultimo — che un paio di mesi fa, su YouTube, Twitter e Twitch comincia a circolare una versione ricantata della sigla dell’Europa League. È stonata, straziante. Ma soprattutto, al posto della melodia, contiene una bestemmia in romanaccio: “P**** d* D**”.
La cosa, sempre su YouTube, viene intercettata e abbellita da un utente che le conferisce un edit professionale: a questo punto, sotto alla voce stridula del cantante, si possono sentire le musiche originali della competizione andare a tempo. Praticamente un inno alternativo.
Quasi 500mila views. (Trigger warning: contiene blasfemia)
Il video — o meglio, l’audio — comincia a circolare in rete. Arriva su TikTok e viene utilizzato per qualsiasi cosa: come reazione a un evento calcistico, com’è naturale, ma anche come “sigla” utile per connotare qualcosa di sconfortante, su cui bestemmiare — appunto — attraverso la base della canzone che da anni accompagna la competizione ufficiale dell’amarezza.
Il trend diventa virale, incontrollabile: in poche settimane il “suono” — sostanzialmente degli audio che si possono ricondividere e reinterpretare all’infinito su TikTok — invaderà la piattaforma, con la sua iconico intro parlata: “Ed ecco che parte la sigla dell’Europa League”. Raggiungerà milioni di views, e finirà sugli spalti dell’Olimpico.
(Trigger warning: contiene blasfemia)
È il 20 aprile, sera dei quarti di finale Roma-Feyenoord. Come sempre, l’inno dell’Europa League accompagna l’introduzione alla gara, mentre i calciatori in fila posano dritti come candele al passaggio delle telecamere. A sorpresa, un gruppo nutrito di tifosi — tanto da venir udito distintamente — comincerà a cantarne la versione alternativa, quella blasfema. L’audio entra nelle case degli italiani. I telecronisti, spiazzati, forse non credono alle proprie orecchie.
Suor Paola, la suora laziale protagonista dei programmi anni Novanta di Fabio Fazio, nei giorni seguenti verrà inevitabilmente interpellata da giornali italiani senza spiegazioni, invocando censure e multe. L'avvocato degli ultras, Lorenzo Contucci, si dirà profondamente contrariato, chiedendo di “evitare il bestemmione” a inizio partita “anche per avere i Santi Numi dalla nostra parte”.
Riporta forzaroma.info, testata affiliata alla Gazzetta dello Sport, in quelle ore:
“Il coro blasfemo, oltre ad essere di poco gusto, ha anche portato male alla squadra. (…) Alcuni sostenitori avevano proposto di cantare "Viva il buon Dio" per evitare altri stop muscolari. Liberi di crederci o meno, ma la scaramanzia è servita. Infatti ieri nessun calciatore giallorosso si è fatto male e Mourinho spera di recuperare Smalling per il delicato impegno di giovedì.”
Il fenomeno si ripeterà ancora: in trasferta, apparentemente anche tra i tifosi della Juventus, e in semifinale con il Bayer Leverkusen — appunto. Un lunghissimo minuto in cui alcuni tifosi, riprendendo un trend di TikTok, sono riusciti a far entrare cori blasfemi dentro casa mia e quella di altri milioni persone, ignare e del tutto impreparate, senza filtri né avvisi.
Decine di p**** d* D** riecheggeranno potenti, in prima serata, nei salotti di tutt’Italia. Eppure per moltissimi l’evento resterà indecifrabile.
La bolla dei rutti
Esistono fenomeni che sono rilevanti per un gruppo di persone, anche piccolo, e che entrano nelle vite degli altri senza che questi riescano capire come, o possano ricostruire una filiera di eventi.
È una cosa che mi affascina da un po’. Ne scrivevo in “Sei vecchio”, per esempio, parlando del caso di Saverio Riccelli: padrone di una capra famosa su TikTok che turbava involontariamente l’ordine pubblico dei paesini in cui si recava per le sue esibizioni, tra sciami di teenager desiderosi di chiedergli un selfie, e cinquantenni che non riuscivano a spiegarsi quale fosse la ragione di così tanta fama.
Non è difficile: accade da sempre, se pensiamo a quei fenomeni tipici della gioventù, inintellegibili dalle persone più adulte. E accade sempre più spesso, ora che i social network riescono a essere così verticali sui nostri gusti specifici — grazie ad algoritmi come quello rivoluzionario di TikTok — creando delle filter bubble di intrattenimento quasi esclusivo. L’altro giorno è capitato a me.
Sono più o meno le tre di un sabato pomeriggio di fine maggio. Fuori — dicevamo — comincia a essere quasi estate, e intimorito dall’idea di non aver abbastanza vestiti per affrontare i mesi caldi, sono entrato in un negozio d’abbigliamento per la mia scorta stagionale di t-shirt monocolore.
Il locale è affollato, forse ci sono degli sconti: mi sposto verso il reparto uomo al piano inferiore, quando dal nulla, nel brusio della folla, si sente un fragorosissimo, clamoroso rutto. Cristallino, prepotente, disgustoso — e sulle prime, penso, alimentato addirittura da un megafono.
Mi giro verso il centro della sala, seguendo il rumore: un uomo ben fisicato, con una maschera da tartaruga ninja, ride compiaciuto per la bravata di cui si è appena reso protagonista. Di fronte a lui, un altro ragazzo lo ha appena filmato con uno smartphone. Ha due bottigliette d’acqua in mano che immagino essere frizzanti. In alto, qualche giorno dopo, scoprirò che al piano di sopra forse c’era addirittura un altro operatore.
La gente intorno è interdetta, qualcuno ride, qualcun altro si avvicina per un saluto. L’uomo si toglie la maschera: è Ruttarello. Ero finito nello zeitgeist.
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Rutto zenitale. (Trigger warning)
Citato persino su RaiDue a inizio anno, Ruttarello è l’identità social di un ragazzo abbastanza noto su TikTok. Va in giro mascherato, e da mesi dedica larghissima parte della sua produzione ai rutti.
I video riproducono in genere un meccanismo ricorrente: lo vediamo entrare in situazioni tranquille, come dentro una libreria o ai tavolini di un bar, per poi sorprendere tutti con un rutto, o una frase ruttata, seguita da una battuta con la sua voce originale o una risatina nervosa — quando si accorge di aver superato la linea della decenza.
Sue caratteristiche: la bandana da tartaruga ninja, l’autocompiacimento, un’apparente propensione a fare delle donne le vittime preferite dei suoi scherzoni.
A volte accolto da risate, altre da comprensibile stordimento, gli elementi che affrescano il mondo di Ruttarello richiamano in larga parte i temi del bomberismo, l’esaltazione gratuita della vita orgogliosamente ignorante e machista (ne abbiamo parlato qui qualche anno fa), e del travisato concetto di degrado come testimonianza di pura genuinità: lo sentiremo declamare a modo suo motti abbastanza noti su “baffi impregnati di birra”, lo vedremo fare riferimenti a cartoni animati da post-pranzo liceale, o a disturbare manifestazioni animaliste.
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(Trigger warning)
Arrivati a giugno 2023, Ruttarello ha ormai collezionato 3,6 milioni di “mi piace”, con video che arrivano anche a 18 milioni di visualizzazioni e migliaia di commenti entusiasti, innamorati. “Sei un grande”, “Mito”, “Mio padre”, “Lo meritavo”, si legge sotto a video come “Il ruttassalto”, nel quale si avvicina a quattro ragazze sedute attorno a un tavolo, rutta in modo deflagrante, e si allontana ridendo.
Immobile sulle scale di un negozio d’abbigliamento, fisso Ruttarello per due minuti buoni sperando di intercettarne lo sguardo e manifestargli il mio disappunto. Lui concede qualche selfie, raduna i suoi e se ne va felice. Capisco che non è lui a vivere nel mio mondo, ma io a essere ospite del suo.
“Ruttando nell’aria”
Citata dalla giornalista statunitense Terry Nguyen nella sua newsletter qualche mese fa, nel 1977 l’artista giapponese Shigeko Kubota introdusse al mondo le sue video-sculture preconizzando un futuro in cui la presenza all’interno di supporti filmati sarebbe stata l’unica vera prova della nostra stessa esistenza, una testimonianza per la posterità. Filmo, esisto in video, dunque sono.
In questo senso, trasfigurare in un rutto potenzialmente virale è il metodo che Ruttarello e i suoi omologhi dispiegherebbero per avvicinarsi il più possibile a quel concetto di immortalità in clip. Più d’uno nel mondo, e anche in Italia: lo so perché di suoi video ne ho visti parecchi, una volta tornato a casa. Portando TikTok a credere che sia particolarmente fan della categoria, e continuando a offrirmi performance esofagee al limite del decoro umano.
Sulla piattaforma di proprietà cinese, infatti, da qualche giorno sono inevitabilmente finito in tunnel inesauribile rutti. Da qui, nei miei “Per te”, ho scoperto una specie di mercato, una gigantesca nicchia del genere, che si fa forte di un meccanismo comico elementare, e della potenziale internazionalità dei suoi soggetti — un rutto, alla fine, non conosce lingua.
(Trigger warning)
A livello globale, all’hashtag #burp, queste clip accumulano fino a 1,5 miliardi di view: una sorta di format codificato che in Italia ha trovato i suoi interpreti apprezzati anche all’estero — stando ai commenti che ricevono — e una sua lore: un metaverso di personaggi noti e meno noti legati dalla medesima offerta, e tutti più o meno simili a Ruttarello per poetica ed esecuzione.
Troviamo per esempio Ruttovibe, che di quest’ultimo è complice e compare: mai mascherato ma in occhiali da sole, rispetto al primo è meno epico, enfatico. Si avvicina alla vittima, si produce nella sua performance, lascia tutti di stucco e se ne va — spesso in maglia da calcio, con tanto di nome di battaglia stampato sulla schiena.
Abbiamo poi RuttMysterio, con la sua maschera da wrestler e una storia da decifrare: su internet, facendo un giro di ricerche, si troverebbe persino una sua partecipazione sia a Italia’s Got Talent che alla sua edizione spagnola, dove rutta cantando armato di pianoforte o chitarra acustica — o meglio: immagino proprio sia lui, ma vi lascio i link sopra per confrontare e verificare.
Apparentemente di Mysterio sembra non esistere nessun profilo su TikTok. Eppure compare spesso in vari video, anche al di fuori dalla piattoforma: sul suo canale YouTube, in cui le visualizzazioni totali ammontano a due milioni, si trovano per esempio delle rutt-reaction, delle rutto-interviste, e persino un tributo ruttato al batterista dei Marlene Kuntz, Luca Bergia, scomparso lo scorso marzo.
Ruttando nell’aria (Trigger warning)
E poi numerosi altri emuli più piccoli, che a volte compaiono nei loro video come a consacrarli definitivamente, all’interno di eventi con nomi come “Ruttoday” o “Ruttonight”: un gruppo di persone in cui potresti imbatterti con discrete probabilità passeggiando per Piazza Gae Aulenti la sera sbagliata, ignari come i telespettatori di una partita di Europa League della Roma.
Qualche settimana fa Rebecca Jennings su Vox si chiedeva se TikTok ci stesse rendendo persone peggiori o migliori. “Ti basta scrollare abbastanza — spiegava — per accorgerti di esser entrato in una versione distorta del mondo, dove solo chi fa più rumore, la parte più estrema dell’umanità riesce a conquistarsi attenzioni”.
Sulla piattaforma, continuava, è facile farsi idee sull’esistente, sul senso delle cose, anche polarizzanti. C’è il bello e il brutto, il talento e il cringe, all’interno di un marchingegno che però — in base al funzionamento dei suoi algoritmi — in genere premia gli istinti più bassi dei suoi utenti.
“I contenuti che funzionano su TikTok — continuava — sono spesso cose di facile lettura, irresistibili. In altre parole, qualcosa che ti prende a schiaffi in faccia per la sua ovvietà,” disarmante come un rutto in mezzo alla gente.
O almeno, immagino sia questo quello che succede quando compri quattro maglie uguali: una bianca, una verde, una nera, una vinaccia.
E questo è tutto. Tu che dici? Parliamone: su Instagram, su Twitter, su LinkedIn, o nel clubbino Telegram di “zio”. Al limite, puoi intercettami alle prossime presentazioni di “Sei vecchio” (se ti va, seguimi per gli aggiornamenti).
A proposito di “Sei vecchio”: puoi comprarlo sul sito di nottetempo, su Amazon o gli altri store. Ma anche in libreria, alla fine.
Per il resto: qui trovi l’archivio con tutte le puntate. Vuoi supportare economicamente “zio”: vai qui. Vogliamo collaborare in qualche modo? Se ci stiamo simpatici si fa tutto: risp a questa mail. Qui, in caso, trovi il mio sito. Ciao!
vorrei dire che è tutto molto bello, ma non penso sia il termine giusto
Tra il rutto a sorpresa e la sigla dell’Europa League blasfema non saprei dire quale mi abbia lasciato più stupito. Che mondo magnifico quello in cui viviamo