Il Cuore Sacro di Steven
Facciamo un punto su Basalari, le dirette NPC e questa storia dei "dumbphone".
Ciao,
Io sono Vincenzo e questa è zio, la newsletter che da quattro anni tondi tondi 🎂 prova a raccontare quei fenomeni digitali che finiscono per diventare rilevanti nel nostro quotidiano — e in quello della cosiddetta Gen Z.
Non ci sentiamo da un po’, e ti chiedo scusa. In questi due mesi, però, oltre a farmi colpevolmente assorbire da vicende varie — e a scrivere questa intervista a Jonathan Zenti appena uscita su Domani — ho provato a ragionare sull’evoluzione di questo progetto.
E quindi ti dico, buone notizie: zio tornerà a essere più frequente, ma sarà anche un po’ diversa. Sarà più veloce e snella, ma senza perdere lo sguardo e il tono. A partire da oggi, in pratica, gli argomenti affrontati ogni volta saranno tre, o quattro, o due. Ma concisi e sciolti.
Insomma, proviamo: se hai dei consigli o preferisci il vecchio formato, rispondi a questa mail, iscriviti al canale Telegram o intercettami su Instagram senza problemi. Andiam 🏄♂️
L’uomo del destino
Se provi a chiedere a un ventenne di fare il nome di una discoteca, ci sono ottime possibilità che ti risponda, senza alcuna esitazione, “Number One di Brescia”. Questo perché negli anni ha saputo offrire una programmazione sempre più contemporanea, ospitando sul palco i principali rapper italiani. Ma anche perché il suo proprietario, Steven Basalari, è diventato molto celebre su TikTok.
Imprenditore lombardo sulla trentina, Basalari è noto per i suoi investimenti, l’ostentazione nei post, e il “Bella raga” col quale esordisce in tutti i video — e che dà anche il titolo a una linea di diari. Su Sei vecchio (il mio libro!) viene diffusamente menzionato come colui che contribuirà alla nascita di “Con mollica o senza”, l’ormai celebre salumeria napoletana aperta in società con l’altra stella della piattaforma, Donato De Caprio. Ma anche come una specie di “uomo del destino”.
L’apertura del secondo “Con mollica o senza”, con intervento della polizia.
Questo perché il successo dell’operazione — insieme alle cronache quotidiane dei suoi affari e dei suoi sfarzi — col tempo lo hanno reso, per diversi utenti della piattaforma, una specie di venture capitalist del TikTok italiano. Un “imprenditore social” al quale sottoporre continuamente idee e personaggi sui quali investire, talvolta persino generando un reale interesse.
È forse così che, nel maggio scorso, Basalari ha deciso di sposare questo profilo da “CEO generazionale” lanciando una specie di contest — pensato a suo dire “per cambiarvi la vita” — attraverso un meccanismo degno di ulteriori analisi, e mega simbolico per il modo in cui racconta cosa significhi “affermazione personale” oggi: gli utenti avrebbero dovuto convincerlo a investire su una loro “idea di business” taggandolo in un video-pitch, e il pubblico avrebbe poi deciso quale progetto far finanziare dall’imprenditore.
Riapparirà un mese più tardi, elegante e istituzionale, in un video da tre milioni e mezzo di view dal titolo “Non smettete mai di crederci”: dichiarerà di esser stato raggiunto da circa 40mila menzioni totali, e annuncerà finalmente la vittoria di Demis5m, un ragazzo specializzato nella creazione di involtini dalle farciture originali (i “wrappettozzi”), noto al pubblico come “Il king del wrap”. L’idea: dar vita a un nuovo locale sulla scorta del precedente di De Caprio — che intanto già festeggiava una nuova apertura in centro a Milano.
La novità di questa settimana, tra le notizie più discusse nella parte italiana di TikTok, è che Demis avrebbe deciso di andare avanti da solo, rifiutando delle condizioni contrattuali che immaginava migliori, e un trattamento progettuale che sognava più affine a quello della salumeria. “La mia proposta economica è stata: contratto di 25mila euro fissi all’anno [...] più un affitto pagato di un appartamento [...] e il 25 percento degli utili”, ha spiegato Basalari in un’altra clip da tre milioni di visualizzazioni. Augurando tutto il bene del mondo al ragazzo, e portando l’impero a dirigere il suo corso altrove.
Lo strano caso dei dumbphone
Ho un dubbio che mi porto dietro da mesi.
Da un po’ di tempo, sia sui media italiani che all’estero, appaiono con una certa frequenza articoli in cui si racconta che la Gen Z starebbe abbandonando gli smartphone e le inutili distrazioni dei social, per abbracciare la rivoluzione purificatrice e minimalista dei cosiddetti dumbphone (o feature phone): telefoni in grado di garantire solo le funzionalità essenziali, al centro di un picco di vendite alimentato da una “nuova tendenza dei giovani”.
Se ne parla come di uno strumento generazionale necessario per “disintossicarsi da un mondo perennemente collegato”, utile per “evitare una sorta di burnout dovuto all’eccesso di tecnologia”: “modelli preferiti” di una Gen Z che vorrebbe “vivere senza smartphone”, nel tentativo di “di riappropriarsi della propria vita”. Un trend apparentemente inarrestabile, insomma, sintomo di un’esigenza profonda quanto reale.
Degli articoli su questo “ritorno dei telefoni basic” amati dagli adolescenti mi colpiscono principalmente due cose. Primo, sono spesso simili tra loro, quanto a citazioni, numeri, a volte espressioni — ma vabbè. Secondo: in gran parte dei casi la fonte è uno studio dello scorso agosto di Counterpoint Research, che però riporta dati un po’ meno conclusivi e certamente più sfumati di una semplificazione giornalistica.
Già dalla presentazione della ricerca, per esempio, si legge che il comparto dei dumbphone negli Stati Uniti arriverebbe al massimo fino al 2 percento delle vendite complessive del settore mobile, e che per il 2023 ci si aspetta — per bocca del Senior Analyst dell’istituto Maurice Klaehne — solo una “leggera crescita” che manterrà il settore sempre attorno ai 2 o 3 punti.
Incollo poi, tra le altre cose, da Counterpoint:
“Si prevede che le vendite dei feature phone nel 2023 possano arrivare a 2,8 milioni, restando stabili nel breve termine grazie al mantenimento di nicchie di mercato [...]. E sebbene la crescita non sia enorme, la domanda dei consumatori alla ricerca di un feature phone come meccanismo di detox digitale continuerà a crescere”.
Così: se da un lato possiamo parlare di un mercato di certo stabile, e magari anche in sensibile crescita (come per esempio nel caso di Nokia, che vede salire le vendite dei flip phone del 5 percento), dall’altro non si può non notare che di indicatori in grado di suggerire l’esistenza di un fenomeno applicabile a un’intera generazione, o che giustifichino titoli come “Cosa sono i dumbphone e perché la Gen Z li adora”, probabilmente non ce ne sono molti.
Fatte salve le dichiarazioni di un presunto dumbphone influencer, spesso menzionate in questi articoli. O la periodica apparizione di #bringbackfliphone come prova del trend: un hashtag TikTok da 59 milioni di visualizzazioni totali, che sono più o meno la metà di quelli generati dalla tag #calenda.
Tra l’altro, sempre questa settimana c’è stato il lancio dell’edizione limitata di un dumbphone da parte di un’agenzia riconducibile al rapper statunitense Kendrick Lamar: il Light Phone II, un telefono pensato per essere solo un telefono, in grado di mandare messaggi, fare chiamate e poco altro. Secondo i media sarebbe andato “subito sold out”, dando nuova forza alla narrazione sui giovani e il rehab digitale. I modelli messi in vendita, però, sarebbero stati 250.
Tornando al mio dubbio iniziale: a volte sembra quasi che titoli del genere, questa tendenza giornalistica a far dire o fare cose alla Gen Z in blocco, servano più a catturare l’attenzione di adulti e anziani con una “notizia perfetta”, un wishful thinking, che a fotografare davvero uno spaccato. Che provino a raccontare una generazione per come si spera che sia, piuttosto che a farlo per come effettivamente è.
E mi chiedo, è questo il caso? O magari no, e mi sto facendo la domanda sbagliata? Se hai dei dati passa che verifichiamo.
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Cosa ci racconta il successo di Giuliana Florio?
Più o meno da questa estate, sui social e sui media tradizionali si è cominciato a parlare molto delle live NPC. Si tratta di dirette streaming pubblicate per lo più su TikTok, all’interno delle quali — come avrai già letto — il creator finge di essere uno di quei personaggi non giocanti e tendenzialmente senza coscienza tipici di certi videogiochi (NPC sta per non-player character), ripetendo per ore gesti e frasi su input degli spettatori.
Questi “comandi”, in genere, vengono attivati da donazioni economiche che si trasformano in sticker che invadono la diretta, tra caramelle, bolle o peperoncini — come del resto succedeva a Matteo Salvini, quando durante le sue live notturne qualcuno gli regalava un paio di baffoni o dei cappelli da cowboy. Chi guarda, così, potrà investire nella possibilità di interagire con il protagonista e la sua streaming, mentre chi trasmette dovrà reagire alla “mancia” appena ricevuta ringraziando di continuo attraverso varie formule.
Diffusosi principalmente grazie a dirette da 7mila dollari al giorno e agli “Ice cream, so good! Ice cream, so good!” della canadese Pinkydoll, da qualche settimana il genere è arrivato anche in Italia soprattutto grazie all’interpretazione che ne ha fatto Giuliana Florio, una 27enne napoletana che vive ad Amsterdam, e che ha pensato di riadattare le reazioni a quasi tutti questi comandi nel suo dialetto.
Tra un “‘O cerasiell”, un “Mm... ‘a patata”, un gattesco “Frrr rha!” e un “Cuore sacro ‘e San Gennaro”, la ragazza è riuscita in poco tempo a mettere insieme quasi 500mila follower, toccare un picco di 10mila spettatori contemporanei, e a finire su radio e tv. Questa settimana, poi, è inevitabilmente arrivato il lancio del suo primo singolo, che trovate già su Spotify, Apple Music e su tutte le altre piattaforme.
Seguo queste live da tanto. Le guardo come tutti, senza capire bene perché, eppure in questi mesi non ho mai avuto la voglia di scriverne, né sentito l’esigenza. Le reputavo un fenomeno vuoto, di cui tutto era già stato detto, senza spunti da offrire — che non rischiassero di trasformarsi, peraltro, in una moralistissima alzata di sopracciglia con relativa caduta di monocolo.
Poi mi hanno passato questo: una diretta in cui un sosia di Ronaldinho si cimenta nel genere NPC su un profilo TikTok da 3 milioni di follower, imponendo le mani sulla testa a mo’ di cuore ogni volta che gliene viene donato uno. E cioè: mi trovavo davanti a qualcuno che aveva già un contenuto forte, una raison d'être piuttosto evidente nel mondo dell’intrattenimento online — l’essere simile a uno dei più famosi e iconici calciatori di sempre — che decideva, però, di accodarsi al trend del momento per intercettare qualche corrente ascensionale, e consolidare ancora di più il suo successo.
La cosa mi ha fatto pensare subito a una dichiarazione di Giuliana Florio, quella in cui dice che si è lanciata in queste dirette per raggiungere più gente possibile nel modo più rapido. E a una serie di domande.
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Voglio dire, posto che la “monetizzazione” di tutto questo hype potrà essere in minima parte misurata guardando i risultati dei suoi prossimi progetti (dal singolo al lancio del brand d’abbigliamento), e che velocizzare la strada verso la notorietà non ne implica il suo naturale mantenimento, mi chiedo: che fare di tutta questa esposizione?
Ci si può davvero affrancare da un content, da quell’immaginario che ti ha reso celebre anche solo per un secondo? È possibile far dimenticare alle persone che per mesi, per ore, si è stati quelli che per denaro ripetevano ossessivamente qualcosa di buffo — mentre nei commenti scorrevano martellanti gli scherni e i “104!!”?
Qual è il costo del successo per la sola voglia di raggiungerlo velocemente? E cos’è, poi, il successo nel 2023? Diventare qualcuno, o diventare meme?
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