Cos'è questa storia delle "risse organizzate", adesso?
È venuto fuori che organizzare mega-risse sui social sta diventando una moda. Ma sarà vero?
Ciao,
Io sono Vincenzo e questa è zio, la newsletter dell’anno.
Come stai? Che si dice a casa? Alfredo, tutto bene? Meno male dai, almeno questo.
Il 2020 l’abbiamo chiuso con un riassuntone di tutto quello che — a ragione o torto — ritenevo potesse interessarti sui consumi culturali e le manie della Gen Z. Il 2021 vorrei aprirlo con una spallata 👐
Metti il bomberino, che oggi ci facciamo un giro attorno al presunto feticismo dei giovani per le risse da strada — o meglio, cerchiamo di capire se per la Gen Z sia davvero una “cosa”.
Cosa sono queste “risse social”?
Un po’ di cronaca, intanto. Sabato 5 dicembre a Roma c’è stata una mega rissa: il Pincio si è riempito di centinaia di ragazzi, e adesso qualcuno rischia pure il processo.
Secondo varie ricostruzioni, che incrociano testimonianze di presunte “gole profonde” e racconti apparsi e scomparsi sui social, due ragazze ai ferri corti (pare) si sarebbero promesse una resa dei conti in centro a Roma a quella data ora.
La cosa si sarebbe poi ingigantita in modo più o meno anomalo su Instagram, TikTok, Telegram e Tellonym, portando fisicamente in strada — e in pieno regime di distanziamento sociale — 300/400 ragazzi, pronti a prendere parte allo “spettacolo” tipo battle royale, o semplicemente ad assistervi. Una specie di flash mob del cazzotto organizzato.
Comunque: il bordello al Pincio è durato poco, fino all’arrivo delle camionette della polizia. Da lì in poi la folla si sarebbe dispersa, dando vita a qualche micro-rissa diffusa (a giudicare da alcuni documenti che non starò a condividere), varie aggressioni e una serie di leggende metropolitane.
In quelle ore infatti, tra chi era in piazza e i partecipanti “a distanza”, hanno cominciato a circolare principalmente due storie. La prima, relativamente innocua, che il rissone diffuso sarebbe diventato un format del sabato, e che una settimana dopo si sarebbe replicato altrove.
La seconda, che fosse morto un ragazzo: quel pomeriggio, cliccando su tag e geotag giusti, ti poteva capitare di trovarti di fronte a decine di storie Instagram con la foto di un ragazzo a caso — sempre la stessa — corredate da RIP e condoglianze.
Ovviamente non era vero.
La cosa, alla fine, è comunque diventata un piccolo evento social. Per darti un numero: a un certo punto #rissapincio su TikTok è arrivato ad avere centinaia di migliaia visualizzazioni — ora molti contenuti sembrano essere stati rimossi.
Su Telegram, nei canali specializzati in risse e “degrado urbano”, le clip amatoriali sono rimbalzate da chat a chat, come fossero il leak di un mixtape attesissimo. Su “Welcome to Favelas”, uno dei punti di di riferimento del settore, è apparso un video che oggi raccoglie 70mila like — e tutto questo solo nella versione “pubblica” del canale.
In quelle ore, i profili Instagram di giovani disposti a dare la propria versione dei fatti, a dirsi interessati a chiarire tutta la vicenda in DM, o a riportare momenti clou tratti dalla giornata, erano a decine.
Molti, tra l’altro, non facevano che usare le stesse parole, gli stessi video e persino le stesse canzoni (“Corri Corri” di Peppe Socks e Capo Plaza, e “Mammamij” di Spetrix e Denemi) come fosse una specie di meme — o meglio, come se testimoniare la propria presenza in piazza, magari pur non essendoci realmente stati, fosse il vero meme.
E quindi: a dicembre centinaia di ragazzi si sono visti al Pincio per partecipare a un rissone e fare dei video per i loro social. Qualcuno le ha prese, qualcun altro rischia il processo, e le leggende metropolitane sulla vicenda sono partite più in fretta dei ceffoni, fino a far circolare la notizia che ci fosse scappato il morto.
Da quel momento una parte di zoomer di zona, poi quelli fuori Roma e a cascata i media si sono messi a fare Biscardi su un evento che nessuno ha realmente misurato — tanto che una delle due ragazze alla fine non si sarebbe neppure presentata, pur avendo minacciato di ritirare la delegazione di Italia Viva dal Governo.*
* Token metafora politica: giocato.
Ma ora le risse sono una “moda”?
Dicevamo: considerando l’anomalia del fenomeno e il contesto del distanziamento sociale, ai giornali italiani la vicenda è piaciuta praticamente da subito.
Com’era ampiamente prevedibile, in poche ore un evento di cronaca — per quanto assurdo — è istantaneamente diventato un drammatico “fenomeno giovanile”: hanno cominciato a nascere le prime similitudini con Fortnite, le prime analisi sul “lato oscuro dei social” e le prime interviste a psichiatri, preoccupati che questi “sabati violenti” potessero trasformarsi nella “valvola di sfogo” della frustrata e repressa vita giovanile al tempo dei lockdown.
Nelle settimane successive ogni rissa ha finito col rientrare nel “format Pincio”: ce n’è stata una proprio ieri a Gallarate, erano in cento. Ce ne sono state poi a Venezia, ancora a Roma, a Milano, a Latina, a Bergamo. Tutte potenzialmente diverse per entità e genesi, ma usate dai giornali come dimostrazioni di una “nuova moda” (anche se di robe etichettate come “risse social” o “risse organizzate”, in realtà, già ne circolavano da mesi).
Ma può essere?
“L’appello dei trapper”
Dico subito questa: cercare di capire se un fenomeno di per sé caotico come Le Botte possa esser diventato un trend è come cercare di mettere in pila i sassi in spiaggia (vorrei andare al mare, scusa).
Ed è ancora più complicato, tra l’altro, se accettiamo il fatto che uno dei punti in comune fra queste risse sia stata l’organizzazione attraverso canali come Tellonym (dove tutto è anonimo, come abbiamo già visto) o Telegram (dove gruppi e chat spesso sono privati, o spariscono per riapparire sotto altro nome).
Così, piuttosto che capire se ‘sta cosa sia effettivamente qualcosa, vorrei fare un ragionamento con te su qualcos’altro.
Per dire: perché una rissa è diventata un piccolo evento digitale? Perché decine di ragazzi del Pincio sono accorsi sul posto e si sono messi a giocare a Pippo Reporter, hanno ripreso tutto, hanno diffuso — a modo loro — fake news e si sono detti disposti a ricostruire la dinamica in privato a favore di chiunque volesse saperne di più?
A cosa si deve la popolarità di personaggi come 1727wrldstar e questo tipo intervistato da RaiTre per parlare del Pincio? Perché appena scatta il rissone parte la segnalazione virale a “Welcome to Favelas”? Cos’è, un selfie dalla città del degrado? EH?
Mettiamo insieme gli occhiali in punta di naso e partiamo da questo dato. Una discreta offerta contenutistica online a tema “cazzotti”, in Italia, effettivamente esiste. Ed è diffusa qua e là su varie piattaforme — Telegram fra tutti, ma anche Instagram.
Inciso su Telegram, per estrema chiarezza: è una specie di WhatsApp che viene spesso usato per creare gruppi (pubblici o privati) o canali in modalità “broadcast” (ossia una chat dove puoi solo ricevere messaggi e comunicazioni).
Non so come metterla giù, ma per semplicità ti direi che Telegram è un po’ più permissivo di altri, in quanto a contenuti che vi possono circolare: fino a qualche anno fa se ne parlava quasi esclusivamente per le chat dei militanti dello Stato Islamico, adesso è un modo per tenere insieme la propria community (lo fanno molti streamer di Twitch) o, altro esempio, per condividere link dove vedere le partite di calcio.
(Immagine dell’autore)
Tra questi canali e gruppi su Telegram se ne trovano diversi a tema risse, anche da centinaia di migliaia di iscritti — ovviamente non farò un solo nome, né linkerò esempi. Devi fidarti, mi disp.
Il generone è solitamente definito “risse italiane”: esistono declinazioni locali, canali che sono bot di altri canali, e canali che a loro volta sono il mirror di canali — in un meccanismo di scatole cinesi costruito affinché la pagina originale venga trovata solo da chi è fortemente motivato da meritarsi iscrizione e fiducia.
In alcune di queste community si può contribuire postando il proprio video in modo anonimo: da lì poi tenerne traccia è impossibile, e di “inoltra” in “inoltra” non è difficile vederselo poi pubblicare da pagine Facebook e Instagram a tema “degrado”, che lo rendono virale.
Per essere ancora più chiari, elenco puntato del tipo di contenuti di cui stiamo parlando:
Ceffoni a persone fatte e/o ubriache;
Episodi in cui si infastidisce qualcuno fino al limite della molestia legalmente perseguibile;
Rissoni di periferia;
Rapine a mano armata;
Incidenti stradali;
Pseudo-segnalazioni vagamente razziste;
Baruffe tra ragazze.
Appunto.
Sebbene sia generalmente moolto più severo e stringente in fatto di norme e contenuti, anche Instagram ospita qualche decina di pagine a tema.
Aprono e chiudono costantemente e sempre più spesso restano private, pur raccogliendo migliaia e migliaia di iscritti e contribuendo a questo nuovo micro-mercato parallelo dei contenuti digitali — cosa che mi fa contemporaneamente ridere e piangere: uno di questi account sulle risse di un posto in Italia, sotto ogni post, invita i propri fan a seguirli sulla pagina di un concessionario di automobili realmente esistente.
Velocissimo inciso prima di andare avanti, comunque: sto per caso dicendo che esiste questa tendenza, che i giovani della Generazione Z sono mega fan dei ceffoni, che tuo figlio è un mezzo delinquente, o che i numeri che fanno questi canali vogliono dire qualcosa? No 👊👊👊
Niente, basta. Continuiamo.
Cosa stai cercando di dirmi?
Se gran parte dell'offerta digitale a tema “risse” proviene da fonti più o meno volatili, l’Agenzia Ansa del settore ha un nome ben riconoscibile, un brand “di successo” e un amministratore con generalità facilmente rintracciabili.
È da “Welcome to Favelas” che la storia del Pincio trova il suo moltiplicatore fuori Roma. Ed è a “Welcome to Favelas” che gli autori del video che circolerà di più manderanno il loro materiale — glielo senti proprio dire fuori campo.
“Welcome to Favelas” è una specie di digital hub del “degrado”. Ha vari canali su Instagram, Telegram, TikTok, con centinaia di migliaia di iscritti e un’anagrafica che — a detta del suo amministratore — scende fino ai 14 anni. Esiste da un botto e sicuramente ti è capitato di vederlo in giro.
Qualche giorno dopo i fatti del Pincio Il Foglio ha intervistato l’admin, che della sua pagina e del suo lavoro ha dato questa definizione:
“Raccolgo frammenti di quotidianità. Il video del gabbiano che si mangia il sorcio. Il dipendente dell’Atac che picchia il passeggero. Il cassonetto che si incendia. I barbecue vietati durante il lockdown. Gli scippi a Milano. E poi gli spacci a Napoli. Il gatto che piange.”
La cosa mi ha ricordato un articolo che avevo scritto circa 29 anni fa, nel 2017, su VICE Italia.
Analizzando un po’ il mondo social di quel periodo avevo provato a chiamare questa roba come “bomberismo”, che in pratica:
“Va da un più generico rifiuto per ciò che passa da un minimo processo di intellettualizzazione, all'odio per tutto quello che rappresenta un discostamento dall'estetica brutale, maschia (“alpha”) e ignorante, fino all'esaltazione gratuita per tutto ciò che può essere riassumibile con il concetto di “degrado” — che si tratti della foto di una cena di coppia dentro un cassonetto o di un ragazzino che saluta la gente in video con spiccata pronuncia cosentina — o alla più plateale insofferenza nei confronti di "diversi" e di qualsiasi tipo di problematizzazione della realtà”.
Stesso ragionamento di prima: chiaramente non possiamo pensare che questa o altre pagine, questi o altri meme possano spingere i tredicenni per strada ad armarsi di catene. Allo stesso modo, però, forse non possiamo neppure decidere di utilizzare questi stessi elementi e un paio di risse simili per tracciare un trend (poi magari succederà, boh, chi lo sa).
Tra l’altro all’epoca la Gen Z non c’entrava ancora niente e parlavo di Facebook. Saranno pure cambiate le piattaforme digitali, sarà arrivato un pubblico nuovo, ma le risse in rete continuano a spaccare (i denti). (Ok, scusa la battuta. Anzi guarda, ignorala proprio).
Comunque: per non lasciarti con una mia autocitazione, chiudo questo episodio con un ultimo passaggio dell’intervista all’admin di cui sopra:
- “Sulla nostra casella ci spediscono qualsiasi tipo di video. È un flusso continuo. Senza filtri. Il nostro utente non vuole essere citato. Chiede l’anonimato.”
- “Quanti messaggi ricevi?”
- “Quattromila al giorno”.
- “Quanti girati hai sul pestaggio di Natale?”
- “Quel pomeriggio sono stati inviati circa 100 video”.
Finito. Buon 2021.
E questo è proprio tutto — scusa l’asciugata! A questo punto io ti saluto, e ti raccomando le solite cose: qui trovi l'archivio con le altre puntate; mi trovi anche su Twitch, Instagram, Twitter, LinkedIn; e se mi sposti nella casella normale di posta (e aggiungi questo indirizzo alla rubrica) mi aiuti a non finire in spam o “promozioni”.
Ciao dai vado