Stanare razzisti su Omegle
Ossia una videochat sulla quale fare i TikTok con gli estranei o andare a caccia di neo-nazi.
Ciao,
Io sono Vincenzo e questa è zio, una newsletter gravosamente seria sui consumi digitali della Generazione Z.
Che dici? Come stai? Io uguale, guarda – presumendo tu abbia risposto “Bene, ho caldo” come immagino.
L’ultima volta che ci siamo visti qui sopra risale ai primi di giugno, quando abbiamo parlato del gioioso mondo di Ruttarello e dei suoi illustrissimi emuli. Da allora ho provato a studiare un po’ di cose, e ho provato ad animare il gruppo Telegram dedicato a questa newsletter. Lo trovi qui: contenuti es-clu-si-vi 🤯
Sorpresa, comunque: stavolta non parleremo di challenge e salumieri virali, né delle streaming NPC di cui ormai si legge già in giro.
Ci concentreremo invece su una piattaforma meno nota, ma in grado di diventare a suo modo rilevante – in parte per l’uso che se ne fa, in parte per l’ininterrotto flusso di contenuti digitali cui dà vita. E in parte per come, alla fine, parli un po’ di tutti noi.
Café littéraire
Della mia prima vita online ho un ricordo caotico e ormai vago. Siamo negli anni Duemila, per intenderci: saltavamo scuola per rifugiarci dentro agli internet café, e chattavamo con gli sconosciuti su Superfighetto & Megatipina.
Altre volte, se provvisti di rete, ci lanciavamo in velleitarie iniziative musicali dando vita a decine di profili su MySpace. Io stesso avrò creato e pubblicato non so quanti volantini digitali per altrettante serate mai esistite. Mi ricordo, per esempio, di quella con una sagoma di un gallo che ascoltava musica da un iPod. Erano i cosiddetti Anni Zero.
Di questo mondo, così nuovo quanto a suo modo ancora contratto, imparavamo pian piano ad apprezzare le infinite possibilità offerte dalla connessione con gli altri — anche se magari in pochi, o magari solo a sprazzi: l’idea di sentirsi nodi di una rete gigantesca, e di poter trovare dall’altra parte dello schermo qualcosa di effettivamente inedito, di imprevisto. Un amico, un troll, una truffa, magari l’amore.
Ricordo anche che lo schermo lo guardavamo in gruppo: o nei café di cui sopra, sbraitando contro chi di noi doveva scrivere, provando a suggerirgli gli approcci migliori per esordire in chat. O nelle case degli amici, presso cui ci davamo appuntamento per esplorare insieme questo scrigno digitale di potenzialità ancora incognite.
A un certo punto, durante queste sessioni, prendemmo a frequentare Chatroulette: una piattaforma di videochat sulla quale si veniva accoppiati in modo casuale a qualcun altro nel mondo. E con cui, a webcam accesa, ci si doveva provare a impostare una discussione — testuale o via video.
All’apparenza, una specie di rivoluzione: l’opportunità per incontrare persone dall’altra parte del globo, prendere coscienza della vastità di questa famosa rete. Ma allo stesso tempo, il motore di varie leggende che circolavano all’epoca, fatte di scene di masturbazione maschile su schermo, e di volgarità gratuite in favore di camera.
Ciao! Hai presente zio, la famosa newsletter? Ecco: partendo dall’esperienza di queste pagine, a febbraio per nottetempo è uscito “Sei vecchio”, il saggio che ne è un po’ la conseguenza, un po’ il cugino più profondo.
Se ti va di leggerlo lo trovi qui su Amazon, sul sito di nottetempo, o in tutti gli altri posti digitali. O in libreria, chiaramente.
Secondo Arielle Paredes su Wired US, il succedersi senza logica di un’umanità tanto varia e ingovernabile era in grado di fotografare, in un certo senso, la rete dell’epoca: un’offerta animata da una specie di particolarissimo caos che andava dalle “ragazze coreane che ballano” a “l’uomo nudo di Gdansk” – ricordava Julia Ioffe sul New Yorker, solo per dare “un assaggio degli ormai famigerati atti di esibizionismo in cui ci si poteva imbattere sul sito”.
Accettato il rischio, o forse proprio in sua ragione, l’idea ci rendeva comunque febbrili. Una sera esordimmo in diretta su Chatroulette con una specie di operetta crossover, esibendoci su canzoni dei Linkin Park e muovendoci inseguendo una scoordinata coreografia.
Così, candidi, perché ci andava: perché c'erano una videocamera e una sorta di pubblico. Sullo schermo, tra risate e i velocissimi skip di chi preferiva passare oltre, raccogliemmo l’attenzione di pochi: un paio di ventenni, ricordo, e una lunga sequenza di cazzi senza volto. Eravamo le ragazze coreane.
Da allora la rete è enormemente cambiata, soprattutto nel modo in cui intendiamo il rapporto con gli altri: arrivarono Facebook, Twitter, la smania di fare delle nostre reti di amici un cumulo di “mi piace”, o una specie di classifica – vedi, appunto, la famosa “Top 6” di MySpace.
Instagram e la pretesa di rendere una moodboard l’estetica delle nostre vite. Infine TikTok, che con il suo algoritmo ha quasi ucciso il vecchio mondo: un’offerta rimodulata costantemente in base a quello che potrebbe piacerci, e l’orizzontalissima capacità di poter diventare virali con qualsiasi tipo di contenuto.
Eppure, nonostante questa continua evoluzione, l’offerta delle videochat basate sull’accoppiamento randomico con degli sconosciuti non è mai del tutto scomparsa.
E così se Chatroulette – tra alti, bassi e funerali forse prematuri – alla fine è riuscita a sopravvivere fino ai giorni nostri raddoppiando i suoi utenti in piena pandemia, altri servizi hanno cominciato a imporsi e a trovare spazio – tanto che Taylor Lorenz, sul New York Times, a un certo punto si chiese se stessimo cominciando di nuovo a videochattare con gli estranei.
La risposta era “Forse sì, boh, magari non noi”. Il nome da seguire, più degli altri: Omegle.
“Talk with strangers”
Non è un caso se Omegle - Talk with strangers! nasce proprio da quella nidiata, da una internet ancora “adolescente”, fino ad arrivare a noi.
Online dal 2009 con fortune alterne, la piattaforma ha cominciato a ospitare numeri sempre più rilevanti proprio in concomitanza coi primi lockdown – una crescita così forte che, secondo alcuni media, avrebbe coinvolto con troppa facilità anche diversi minori, e numerosi contenuti non adatti a loro.
Particolarmente nota negli USA e nel Regno Unito, negli anni è diventata sempre più popolare presso parte del pubblico più giovane, tanto da trasformarsi in un format prima su YouTube e poi su TikTok, da finire all’interno di una delle guide di Wikihow, e da diventare protagonista di centinaia di fanfiction su Wattapad.
Il meccanismo è grosso modo simile a quello già noto: si accede al sito senza registrazioni di sorta – o su una delle diverse app che ne emulano il funzionamento su mobile –, si indicano degli interessi che dovrebbero facilitare l’accoppiamento con persone simili a noi, i tag, e si prova a chiacchierare con qualcuno.
Al di là dei paragoni più o meno forzati con l’internet del duemila, parlare di una piattaforma di videochat particolarmente in voga in questi mesi – di cui peraltro si sono accorti persino i media mainstream italiani – vuol dire, in qualche modo, provare anche ad analizzare il rapporto che chi è più giovane di noi ha con questo genere di servizi, con l’esposizione della propria immagine online, o – più in generale – di cosa la rete offra oggi, a più latitudini.
Sono in molti a sospettare, per esempio, che il successo di strumenti come Omegle si accodi in qualche modo a una tendenza, sempre più marcata negli ultimi anni, che vorrebbe la Gen Z come generazione particolarmente ben disposta verso il mondo delle videocall e delle livestreaming – e quindi più propensa a una comunicazione visiva, esplicita, meno “timida”.
Altri, invece, ritengono che il grande ritorno delle chat video randomiche sia stato supportato e spinto da una nuova classe di creator, disposta a inventarsi nuovi contenuti su luoghi come Omegle e Chatroulette, facendone dei giganteschi teatri per ricavarne intrattenimento, delle clip da condividere coi propri follower: un momento per creare scenette divertenti con uno sconosciuto, da catturare e poi ripubblicare altrove sulla rete.
È il caso, per esempio, di Darrell Moten: uno dei personaggi più noti a livello globale in questo genere.
Specializzato in scherzi agli sconosciuti, Darrell non fa altro aspettare di essere accoppiato alla persona “giusta” su Omegle, per poi lanciarsi nei suoi prank e attendere la loro incredula reazione.
Aiutato nella gran parte dei casi da filtri grafici, puoi vederlo fingere di essere un bambino, o di trasmettere in diretta da una montagna russa, una chiacchera dopo l’altra: il video verrà poi caricato su TikTok o su “SomethingAboutChickens”, il suo canale YouTube, dove al momento si contano un milione e seicentomila iscritti e ben 175 milioni di visualizzazioni totali.
Pur essendo già nota su YouTube da diversi anni (si vedano alcune scappatelle risalenti alla “Prima Repubblica” della rete italiana, come quelle di FaviJ) è più o meno dal 2020, infatti, che Omegle ha cominciato a riempirsi di content creator di nuova leva provenienti da altri lidi dell’internet.
È qui, per esempio, che spesso si danno “appuntamento” coi propri follower invitandoli a ritrovarsi sotto un tag dedicato: per provare ad avvicinarcisi, farli sentire coinvolti nella loro evoluzione, creare community. Ed è qui che calano, come nel caso di Moten, per sfidare l’imprevedibile e creare altri contenuti inediti.
Non è così raro, infatti, imbattersi nelle dirette di creatori digitali intenti ad approfittare della casualità degli incontri, a monetizzare sulla genuinità dello scambio e sulla gratuità dell’operazione – e a darmene conferma, per quel che può valere, sono anche alcuni degli utenti che ho incontrato girovagando sulla piattaforma.
Il meccanismo vincente, peraltro, è in genere quello delle reaction: a volte, come già visto, per scioccare l’interlocutore facendogli credere di parlare con un hacker dal deepweb, con una persona dalla testa rotante, o con un bambino (il “Baby face trolling”) – e quindi portarsi a casa un po’ di reazioni spontanee, sempre premianti nell’industria dei contenuti digitali.
Altre volte, semplicemente, mostrandosi per chi si è, se abbastanza famosi: catturando dunque una sequenza interminabile di “Non ci credo!”, “Ma sei proprio tu!”, “Non è possibile!” da ricaricare in rete. Altre ancora per poter poi dire “Apanyinye”, una specie di scherzone simile al vecchio “Chupa!” che gira in rete da qualche mese.
Un caso italiano.
In questo, negli ultimi tempi, TikTok si è rivelato uno dei social più influenti, la vera novità: solo a novembre 2022, secondo Internet Matters, le visualizzazioni all’hashtag #omegle sarebbero state in totale 5 miliardi. E in Italia, dove i nostri leader del genere ormai non mancano, ad oggi #omegleita, #omegleitaly e #omegleitalia accumulerebbero centinaia di milioni di views.
C’è MarianoPrank, per esempio, coi suoi occhialioni iconici e i suoi scherzi ai confini dell’assurdo: come quando, specie davanti a una controparte femminile, sostituisce la propria immagine col filmato di un ragazzo che suona “Superclassico” di Ernia. E facendo credere a tutti che sia effettivamente quello, l’utente in chat: fino al rovinoso, sconcertante disvelamento.
Silver Button appena vinto per i primi centomila iscritti al suo canale YouTube, ad oggi Mariano è certamente uno dei più noti creator “da videochat” d’Italia.
Non il più longevo, né quello che cattura più views, eppure la sua ricetta – riproposta e riarrangiata per altre piattaforme – al momento gli ha riservato uno spazio rilevante negli scroll di TikTok, dove i suoi video ormai raggiungono i 60 milioni di “mi piace” totali, e dove – in maniera abbastanza esplicita – troviamo la frase “Mi trovi su Omegle” nella bio del profilo.
Ancora, c’è BambinoHacker: progetto dello youtuber Teknoyd che dura da più di due anni, col quale si presenta al pubblico di Omegle sotto forma di bimbo in grado, però, di leggere indirizzo IP e localizzazione dell’altra persona in chat.
L’operazione, mutuata dai creator americani, è piuttosto semplice e resa ancora più fattibile dalle decine di guide che si trovano in rete. L’effetto però è assicurato, e risulta quasi sempre in una velocissima fuga dalla chat.
Ci sono poi Aleclasher, Zerbi, Eze, il “baby maranza” di Zblito e ancora più indietro xDrake: un generone già esistente in qualche forma, ma che forse – accoppiato all’universo in continua espansione di TikTok – ha trovato una dimensione più moderna e virale.
Nonché l’ennesima prova che se qualcosa può succedere, allora si può provare a farlo diventare un nuovo content – che sia semplice come uno scherzo, lo stupore di qualche secondo, o qualcosa d’altro.
“Omegle redpilling”
Hidaya Saban e Alees Elshiek sono due giovani utenti di Omegle. E a fine 2020, come raccontato da NBC News, avrebbero deciso di farsi un giro sul sito per una specie di “esperimento sociale”.
Avrebbero quindi fatto accesso alla sezione per studenti. Poi, avrebbero aggiunto alcuni interessi specifici sotto forma di tag: le parole “Black Lives Matter”, “racist”, “BLM”, “KKK” – tra le altre. Si sarebbero imbattuti, infine, in un’inevitabile sequenza di personaggi verbalmente violenti, ed evidentemente razzisti.
“Appena entrati, di certo pensavamo che trovare utenti contro Black Lives Matter fosse abbastanza ovvio”, ha spiegato Elshiek all’epoca alla testata americana. “Invece il numero di persone contro il movimento, o più semplicemente razziste, ci ha letteralmente scioccati”.
Secondo l’Anti-Defamation League — l’organizzazione americana che si occupa di tutelare diritti civili e umani, sebbene non priva di aspetti controversi o esente da critiche — gruppi di “suprematisti bianchi e razzisti” starebbero addirittura usando la chat di Omegle “come opportunità per trollare e offendere donne e minoranze”, “per provare a reclutare nuove forze” e sondare le potenzialità di platee più moderne.
La tecnica usata, come riportato da Will Bedingfield su Wired US, sarebbe quella del cosiddetto “Omegle redpilling”: dei raid spesso dispiegati anche su Discord e Steam, durante i quali dichiarare qualcosa di volutamente forte in chat per scioccare gli altri e creare dibattito — come “urlare ‘white power’, fare il saluto nazista”, o chiedere al prossimo delle proprie origini o credenze religiose, per poi offenderlo e aspettarne la reazione.
Trigger warning: contiene gesti o parole d’odio.
Se però non è una novità che piattaforme del genere – come essenzialmente quasi tutti gli altri luoghi dell’internet – siano abitate anche da un certo tipo di pubblico, più interessante è forse l’approccio che, soprattutto negli USA, alcuni creator hanno cominciato a opporgli: accedere a Omegle e filmarsi alla ricerca di razzisti, per provare e stanarli, confrontarcisi o spaventarli in qualche modo.
Si tratta di una specie di discesa agli inferi, una missione volontaria di cui in rete circolano diversi esemplari già da qualche tempo: una sorta di vigilanza attiva in cui far credere a neo-nazi e suprematisti di avergli hackerato il PC, magari di avergli rubato i dati delle carte di credito, per respingerli dalla chat e fare in modo che ci tornino meno volentieri.
Trigger warning: contiene gesti o parole d’odio.
In Italia, appena tre mesi fa, lo stesso Teknoyd si è trovato vittima di offese di carattere razziale e xenofobo durante un meeting con la sua community su Omegle: la vicenda è stata poi filmata e riversata su YouTube, in un video in cui viene abusato verbalmente e di continuo per le sue origini, e in cui cerca di rispondere per le rime.
Trigger warning: contiene gesti o parole d’odio.
Basta cercare “Omegle racist”, d’altro canto, per accorgersi della quantità di video di questo tipo e dei numeri che generano: una testimonianza preziosa, una forma di partecipazione attiva. Eppure, a suo modo e più cinicamente, anche un nuovo tipo di content.
Luoghi digitali
Il modo in cui certi temi e certi personaggi vivono su Omegle, per poi propagarsi altrove, mi affascina molto.
Non tanto perché l’“Omegle redpilling”, l’esistenza di un metodo di reclutamento per suprematisti bianchi su una piattaforma online, mi abbia comprensibilmente turbato – non che l’idea che l’estrema destra dispieghi nuovi strumenti di propaganda mi sorprenda più di tanto, intendiamoci.
Quanto perché, in qualche modo, video di questo tipo ci mostrano che può esistere lo spazio per una risposta a un’aggressione, per riappropriarsi di certi luoghi – anche solo simbolicamente – attraverso strumenti contemporanei: la costruzione di format e di saghe, l’uso di codici d’intrattenimento come le reaction e i prank.
Che non risolvono un problema, com’è ovvio, ma rendono ancora più intellegibile uno scambio, dimostrando quali sono le parti e le poste in gioco.
Poi certo, anche l’idea che si arrivi a contentizzare anche questi processi – come con le doverose clip in cui i vari razzisti sono roasted o exposed – rischia di non essere altrettanto sconvolgente: che si tratti di dormire in diretta, ruttare, o cambiare la pellicola al telefono, sappiamo che tutto può essere content e ogni cosa oggetto di monetizzazione.
Ma questo sarà tanto più vero, quanto al centro di questa ricerca ci sarà forse qualcosa di sconvolgente, inaspettato. Sorprendente come un fallo non richiesto su Chatroulette, o un braccio teso alzato in aria da censurare all’istante.
E questo è tutto. Tu che dici? Parliamone: su Instagram, su Twitter, su LinkedIn, o nel clubbino Telegram di “zio”.
Ah: “Sei vecchio”, il libro. Puoi comprarlo sul sito di nottetempo, su Amazon o gli altri store. Ma anche in libreria, alla fine.
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